Valore delle conversazioni whatsapp nel processo

Quale valore hanno le conversazioni what’s app nel processo

Quale valore hanno le conversazioni What’s app nell’ambito del processo? Possono essere utilizzate come prova?

Queste domande stanno impegnando da qualche tempo gli operatori del diritto e le aule di giustizia, in ragione del fondamentale ruolo che la tecnologia riveste nella quotidianità di ognuno.

Infatti, la recente dirompente evoluzione tecnologica ha fatto sì che le applicazioni di messaggistica istantanea — prima tra tutte What’s app, ma tra queste possono annoverarsi anche Facebook, Signal, Viber e molte altre — siano diventate il mezzo primario di comunicazione. Queste applicazioni vengono oggi utilizzate principalmente per scopi privati, ma a volte sono impiegate anche nei rapporti professionali o per creare chat di lavoro.

Per questo motivo, accade spesso che conversazioni intrattenute mediante strumenti di messaggistica istantanea assumano un ruolo rilevante anche ai fini di giustizia, sia in ambito civile che penale, e che risulti importante poterle utilizzare nell’ambito dei processi.
Si è così posto il quesito di come qualificare tali conversazioni ai fini processuali e, conseguentemente, di identificarne il relativo regime probatorio.

Le chat di What’s app rientrano nella definizione di prova documentale e soggiacciono, quanto al processo civile, al disposto di cui all’art. 2712 c.c., secondo cui le riproduzioni fotografiche e informatiche formano piena prova nel giudizio dei fatti o delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime.

Anche in ambito penale, la Cassazione ha chiarito che le conversazioni What’s app devono inquadrarsi nell’ambito della prova documentale di cui è consentita l’acquisizione in giudizio ex art. 234 c.p.p. La Suprema Corte ha, infatti, escluso che si tratti di intercettazioni telefoniche (art. 266 c.p.p.), né di sequestro di corrispondenza (art. 254 c.p.p.), in quanto, una volta che tali conversazioni sono state “archiviate” sul dispositivo, non si tratta più né di un flusso di conversazioni in corso, né di corrispondenza, che implica una spedizione o una ricezione in atto da parte del mittente (tra le altre, Cass. sent. n. 1822/2018). Piuttosto, si è in presenza di un dato giacente nella memoria del cellulare.

Una volta chiarito il valore di prova documentale delle conversazioni intrattenute tramite strumenti di messaggistica istantanea, l’attenzione va focalizzata sulle modalità attraverso cui far entrare tali prove nel giudizio, affinché le stesse risultino utilizzabili ai fini della decisione. In particolare, la questione attiene all’attendibilità della prova. Infatti, una delle problematiche più ricorrenti con riguardo alle prove informatiche attiene alla loro affidabilità, stante la facilità di manipolazione a cui le stesse sono soggette e la questione si pone, nello specifico, quando vengono prodotte in giudizio trascrizioni o riproduzioni delle originali conversazioni.

Quanto al processo civile, alla luce del principio di non contestazione e del disposto di cui all’art. 2712 c.c., l’orientamento della giurisprudenza è quello di valorizzare l’utilizzabilità e l’attendibilità della prova fornita fino a quando la sua fedeltà all’originale non sia disconosciuta dalla parte contro cui la stessa è utilizzata.

Così, ad esempio, è stato reputato valido il licenziamento intimato tramite What’s app, (ritenendo, peraltro, assolto l’onere dell’intimazione per iscritto), posto che il destinatario, nei 60 giorni successivi, aveva inviato la lettera di contestazione, così da non porre dubbi circa l’effettiva ricezione del messaggio (Trib. Catania, ordinanza 27.06.2017). O, ancora, i messaggi inviati in una chat what’s app formata tra colleghi di lavoro sono stati assunti come prova del danno all’attività lavorativa e all’immagine del datore di lavoro, trattandosi di messaggi non contestati dalla parte (Trib Milano, sent. 30.5.2017).

Quando, invece, le trascrizioni dei messaggi What’s app divengano oggetto di contestazione, la giurisprudenza è ferma nel ritenere che l’utilizzabilità delle trascrizioni prodotte è condizionata all’acquisizione del supposto informatico, al fine di verificarne la paternità e l’affidabilità di quanto in esse contenuto (Cass. pen. sent. n. 49016/2017, Trib. Milano, sez. lavoro, 24.10.2017 ).

L’acquisizione del dispositivo diviene ancora più centrale e necessaria nell’ambito del processo penale, ove la prova è più rigorosa e l’accertamento della responsabilità si esige oltre ogni ragionevole dubbio.

Di talché, la Cassazione ritiene che le trascrizioni o le riproduzioni fonografiche di conversazioni what’s app siano utilizzabili soltanto ove ne sia accertata la conformità all’originale, mediante acquisizione del relativo supporto.

Inoltre, considerata la difficoltà riscontrabile nel depositare il dispositivo in originale, è possibile valutare il deposito della cd. “copia forense”, una relazione tecnico-informatica eseguita da un perito, mediante la quale si estrapola una copia digitale del dispositivo, con indicazione della metodologia utilizzata per la sua formazione, onde garantire l’assenza di alterazioni o manipolazioni (v. l. 48/2008 di recepimento della Convenzione di Budapest 2001 sulla criminalità informatica, che prescrive, nell’estrapolazione dei dati, l’adozione di misure tecniche atte ad assicurare la conservazione degli originali e ad impedirne l’alterazione).

Il nuovo art. 570 bis c.p.

Il nuovo art. 570 bis c.p.

Il d.lgs. 21/2018, attuativo della riserva di codice, entrata in vigore il 6 aprile 2018, ha introdotto nel codice penale il nuovo art. 570-bis c.p. intitolato “Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio”. La nuova disposizione prevede che “Le pene previste dall’articolo 570 si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero vìola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli”.

In adempimento al disposto di cui al nuovo art. 3-bis c.p., con cui il legislatore ha deciso di auto vincolarsi ad una disciplina maggiormente organica ed accessibile del diritto penale, l’articolo di nuova introduzione dovrebbe costituire trasposizione, all’interno del codice penale, della vecchia disposizione di cui all’art. 12–sexies l. 898/1970, il quale prevedeva l’estensione delle pene di cui all’art. 570 c.p. all’ipotesi di “inosservanza dell’obbligo di corresponsione dell’assegno” da parte del genitore divorziato.
Tuttavia, sin dalla sua introduzione, la disposizione di nuovo conio ha sollevato questioni interpretative di particolare complessità, una delle quali attinente all’applicabilità della stessa al genitore che ometta di adempiere agli obblighi economici imposti in favore di figli nati da coppia non coniugata.

Invero, prima della modifica legislativa, la giurisprudenza, attraverso un’opera ermeneutica ormai ampiamente condivisa, era giunta ad estendere l’applicabilità del precedente art. 12-sexies l. 898/1970 anche a tali fattispecie attraverso il seguente ragionamento: l’art. 4 co. 2 l. 54/2004, sull’affido condiviso, stabiliva l’estensione ai procedimento relativi a figli di genitori non coniugati delle disposizioni contenute nella medesima legge, pertanto, anche dell’art. 3 della stessa, il quale a sua volta sanziona la violazione degli obblighi di natura economica in ipotesi di separazione, rinviando all’art. 12-sexies legge sul divorzio.

Orbene, il recente intervento legislativo ha introdotto l’art. 570-bis c.p. ed ha, al contempo, abrogato l’art. 3 e l’art. 12-sexies menzionati. Tuttavia, la nuova disposizione non opera alcun riferimento ai genitori di figli nati da coppie non coniugate, richiamando esclusivamente la condotta tenuta dal “coniuge”.
Quid iuris in relazione alla violazione degli obblighi economici da parte del genitore di figli di coppie conviventi more uxorio?

La risposta più immediata e diffusa in giurisprudenza è stata quella di ritenere inapplicabile la nuova disposizione a tali ipotesi, pena la violazione del divieto di analogia in malam partem vigente in materia penale. In particolare, il tenore letterale dell’art. 570-bis c.p. non consentirebbe di ritenervi incluse le condotte in parola, conducendo ad una sostanziale abolitio criminis della norma in parte qua.

A fronte di tale interpretazione, ben due Giudici di merito, il Tribunale di Nocera inferiore e la Corte d’Appello di Trento, hanno sollevato due distinte questioni di legittimità costituzionale, pur invocando parametri costituzionali differenti.

In particolare, il Tribunale di Nocera inferiore si è trovato ad occuparsi di un caso in cui l’imputato, dopo quattro anni di convivenza, aveva abbandonato la casa familiare, interrompendo ogni rapporto con la compagna (con cui non era sposato) e i due figli minori e, successivamente, aveva omesso di pagare l’assegno mensile posto a suo carico dal Tribunale per i Minorenni. Il Giudice a quo esclude che il nuovo art. 570-bis c.p. possa applicarsi anche a tale fattispecie, esulando una tale operazione ermeneutica dai limiti dell’interpretazione consentita in sede penale. Sicché, ravvisando la violazione dell’art. 3 Cost., il giudice solleva questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 570-bis c.p., “nella parte in cui esclude dall’ambito di operatività della disciplina penale ivi prevista i figli di genitori non coniugati”.

Ancora, la Corte d’Appello di Trento, chiamata a pronunciarsi in relazione al fatto di un soggetto imputato dell’omesso versamento dei contributi a favore dei figli nati fuori dal matrimonio ex art. 12 sexies l. 898/70 oggi abrogato, ritiene che la nuova disposizione abbia determinato una riduzione dell’area penalmente rilevante, con conseguente parziale abolitio criminis delle relative condotte, oggi non più costituenti reato. Tuttavia, il Giudice a quo ravvisa in tale intervento di parziale abolitio la violazione degli artt. 25 e 77 Cost. segnatamente, la violazione del principio di riserva di legge per eccesso di delega da parte del legislatore delegato. Invero, è di comune interpretazione che la l. 103/2017 abbia autorizzato il Governo a un’opera di riordino della normativa penale in adempimento del nuovo art. 3- bis c.p., consentendo, dunque, esclusivamente una nuova collocazione delle precedenti fattispecie incriminatrici, prima previste da leggi speciali, all’intero del codice sostanziale. Nessuna abolitio era pertanto consentita al Governo. In tale parte, la nuova norma si pone in contrasto con la costituzione e, in particolare, con il principio di riserva di legge, da ritenersi, in materia penale, tendenzialmente assoluta.

Altra parte della giurisprudenza di merito ha tentato di fornire un’interpretazione adeguatrice del sistema normativo vigente, riconducendo la condotta del genitore che ometta il pagamento di assegni in favore di figli nati fuori dal matrimonio all’interno della disposizione di cui all’art. 570 c.p., opinando nel senso che la violazione degli obblighi di assistenza materiale nei confronti del figlio ben si può realizzare attraverso la mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento fissato dal Tribunale civile (Trib. Treviso 2018, n. 554).

Infine, i Giudici di legittimità, chiamati ad occuparsi della questione, optano per un’interpretazione costituzionalmente orientata della nuova fattispecie, valorizzando l’intenzione del legislatore delegante e delegato al mero riordino della precedente disciplina, dalla quale non può ritenersi verificata, attraverso il meccanismo dell’abrogazione degli artt. 12-sexies l. 898/70 e 3 l. 54/2006, “un’abolizione delle corrispondenti figure di reato, transitate nel nuovo corpus normativo”. Infine, la Corte valorizza un’interpretazione sistematica della nuova norma la quale, interpretata secondo il solo senso letterale, si porrebbe in aperto contrasto con le norme di cui agli art. 337-bis e ss c.c. (Cass. sent. n. 55744/2018).