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L’interesse del figlio prevale sul Test del DNA

La sentenza in commento (guarda il pdf della sentenza Corte d’Appello di Bologna n. 1395/2025) trae origine dal caso di una minore riconosciuta all’anagrafe come figlia da un cittadino italiano, deceduto poco dopo la nascita della bimba e per cui il Test del DNA, eseguito in corso di causa, aveva escluso il rapporto biologico di paternità.

La Corte d’Appello di Bologna tuttavia, in linea con la più recente giurisprudenza, ha riconosciuto l’interesse della minore a conservare ugualmente lo status di figlia.

In particolare nella sentenza in commento viene affermato il principio per cui, nelle azioni di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità ai sensi dell’art. 263 c.c., l’interesse del minore alla conservazione del proprio status, oltre che indipendente dalla verità biologica, può altresì prescindere dalla concreta stabilizzazione di un legame affettivo.

La Corte d’Appello di Bologna, accogliendo l’appello proposto dalla madre della minore, ha escluso infatti che l’interesse del minore alla conservazione del proprio status debba necessariamente avere natura familiare.

Con l’appello veniva in particolare censurata la sentenza di primo grado per aver fondato la preminenza del favor veritatis sul difetto di legami affettivi tra la minore ed il padre, così concludendo per la carenza di interesse della minore alla conservazione del proprio status giuridico.

La Corte d’Appello di Bologna, ponendosi nel solco delle più recenti pronunce della Corte costituzionale e della Suprema Corte di Cassazione puntualmente richiamate nel provvedimento in commento, ha invece affermato che il diritto all’identità personale del minore non si esaurisce nell’esistenza di legami affettivi e personali sviluppatisi tra lo stesso ed il presunto padre.

Va piuttosto accertato quale sia in concreto l’interesse superiore del minore con particolare riferimento agli effetti del provvedimento in relazione all’esigenza di un suo sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale.

Il diritto all’identità personale presenta invero molteplici aspetti tra cui in primo luogo la proiezione sociale di sé, il diritto al nome, alla reputazione e alla identità di genere.

L’ordinamento è dunque caratterizzato dall’immanenza dell’interesse del minore nell’ambito delle azioni volte alla rimozione del suo status filiationis, dovendo quindi escludersi che in esse l’esigenza di verità della filiazione prevalga in modo automatico e impedisca di valutare l’interesse concreto del minore (incluso quello alla stabilità dello status acquisito)”.

Il diritto al risarcimento del danno del figlio non riconosciuto

La sentenza n. 697/2019, con cui la Corte d’Appello di Bologna, in materia di dichiarazione giudiziale di paternità, ha confermato il diritto della figlia al risarcimento del danno non patrimoniale subito in conseguenza del mancato riconoscimento da parte del padre e dell’assenza di un solido rapporto con quest’ultimo.

Nel caso esaminato dalla Corte d’Appello di Bologna il diritto della figlia al risarcimento del danno nasceva proprio dalla privazione della figura paterna che il padre le aveva inflitto.

Si è infatti accertato che il genitore, pur consapevole del rapporto di filiazione, non si è mai comportato da padre né in privato né nella sfera sociale, cagionando dunque nella figlia una grave sofferenza per la consapevolezza di non essere stata desiderata ed accolta come tale.

La Corte d’Appello di Bologna ha, dunque, confermato l’orientamento già espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 26205/2013, in cui si è affermata l’esistenza di un “automatismo tra procreazione e responsabilità genitoriale, declinata secondo gli obblighi specificati negli artt. 147 e 148 c.c., che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, nell’ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l’assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore”.

Con la successiva sentenza n. 3079/2015, la Corte di Cassazione ha altresì sancito che “il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di una figlia naturale integra la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione che trovano negli articoli 2 e 30 della Costituzione – oltre che nelle norme di natura internazionale recepito nel nostro ordinamento – un elevato grado di riconoscimento e tutela, sicché tale condotta è suscettibile di integrare gli estremi dell’illecito civile e legittima l’esercizio, ai sensi dell’art. 2059 cod. civ., di un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla prole

In sintesi, per effetto della semplice procreazione il figlio acquisisce il diritto di essere mantenuto ed educato dai propri genitori e di condividere con gli stessi la relazione filiale, sia nella sfera privata ed affettiva, sia in ambito sociale. Ciò a prescindere dal riconoscimento o dalla dichiarazione giudiziale di paternità.

La violazione di tale diritto da parte del genitore costituisce quindi un grave inadempimento agli obblighi sanciti dalla Costituzione, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dalla Convenzione di New York sui diritti del Fanciullo del 1989.

A tale inadempimento consegue, pertanto, il diritto del figlio al risarcimento del danno, quando il comportamento del genitore abbia determinato un vuoto affettivo e sociale nel figlio.

In allegato il testo integrale della sentenza. E’ inoltre consultabile il nostro approfondimento Figlio non riconosciuto e testimonianza della madre, nonchè l’area tematica Diritto dei minori.