La responsabilità del proprietario di un cane

Avere un cane è una grande gioia, ma comporta anche doveri e responsabilità.

In primo luogo, chiunque acquisisce il possesso di un cane deve iscriverlo all’anagrafe canina, anche per il tramite di un veterinario, entro due mesi dalla nascita o 30 giorni da quando ne viene in possesso.

Vi sono poi una serie di obblighi generali a tutela dell’incolumità pubblica.

In particolare un’ordinanza del Ministero della Salute, oggi aggiornata all’8/08/2022, ai fini della prevenzione del rischio di aggressione da parte di cani, ha previsto l’obbligo di utilizzare, in ogni luogo, un guinzaglio di una misura non superiore a mt. 1,50 per i cani condotti nelle aree urbane e nei luoghi aperti al pubblico, fatte salve le aree per cani individuate dai Comuni, e di avere sempre con sé la museruola (rigida o morbida) da applicare in caso di potenziale pericolo, nonché l’obbligo di affidare il proprio animale solo a persone in grado di gestirlo.

Chiunque conduca il cane in ambito urbano ha inoltre l’obbligo di raccoglierne le deiezioni e avere con sé strumenti idonei alla raccolta delle feci.

Ma dove si può entrare liberamente con il proprio cane?

Sicuramente in tutti i parchi pubblici, posto che i Comuni non possono vietare l’ingresso dei cani nei parchi.

Mentre per quanto riguarda l’accesso in bar, ristoranti e negozi, occorre verificare che il gestore non abbia previsto limitazioni per l’accesso con animali, mediante l’apposizione di un apposito cartello.

Vediamo ora la responsabilità che incombe sul proprietario di un cane in caso di danni cagionati dal proprio animale.

L’art. 2052 del codice civile prevede che “il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui l’ha in uso è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.

Si tratta di una responsabilità oggettiva, che sorge dalla sola relazione di fatto con l’animale e vale sia per il proprietario sia per “chi l’ha in uso”, ovvero che sta utilizzando l’animale per la sua funzione, ad esempio nell’ipotesi di cani da caccia o da tartufo.

La responsabilità civile non si estende invece al custode o al mero detentore.

In sintesi, quindi, il proprietario risponde dei danni cagionati dal proprio animale, sempre, a meno che non provi il caso fortuito, ovvero riesca a dimostrare da un lato di aver usato la massima diligenza nella gestione del proprio animale e dall’altro l’intervento di una circostanza esterna imprevista ed imprevedibile, idonea ad interrompere il nesso di causa.

La giurisprudenza ha individuato, ad esempio, il caso fortuito nell’agire di un terzo, nella colpa del danneggiato ed, in generale, in ogni altra circostanza estranea al proprietario che si ponga come causa autonoma dell’evento dannoso.

I danni risarcibili a chi ha subito un danno da un animale possono essere sia patrimoniali (danno emergente e lucro cessante) sia non patrimoniali (danno alla salute, danno morale, ecc…).

Le medesime regole valgono in caso di danni causati da cani randagi, ma in tal caso a risponderne è la Pubblica Amministrazione territorialmente competente, che deve organizzarsi per adottare misure concrete di prevenzione al randagismo.

Ma cosa succede se a subire un danno è invece il nostro cane?

Il proprietario che abbia subito la perdita o lesione del proprio animale d’affezione a causa di un comportamento illecito altrui (ad esempio investimento, maltrattamento o avvelenamento ad opera di un terzo) o a seguito di una responsabilità contrattuale (ad esempio errore medico del veterinario) ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale (spese, valore dell’animale, ecc…) e del danno morale, ovvero la sofferenza soggettiva, purché sia dimostrata ad esempio attraverso la produzione di certificati che attestino l’insorgenza di una sindrome depressiva.

Studio Legale Palumbi a Bologna

Responsabilità da cosa in custodia del gestore di sala cinematografica

Il Tribunale di Bologna, con la sentenza non definitiva n. 492/2021, ha accertato la responsabilità da cose in custodia (art. 2051 c.c.) del convenuto, gestore di una sala cinematografica, per i danni riportati dall’attrice, utente del cinema, caduta a causa di un gradino non visibile.

L’art. 2051 c.c., in materia di responsabilità civile per i danni causati da cose in custodia, individua un’ipotesi di responsabilità oggettiva (sulla responsabilità da cose in custodia, cfr. l’approfondimento “Il Comune e i danni derivanti dal cedimento della strada”).
Sull’attore, presunto danneggiato, incombe quindi la dimostrazione del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia, ovvero la prova che il proprio danno sia derivato da un’anomalia del bene oggetto di custodia (cfr. Cass. Civ. Sez. VI, ord. 18236/2018; Cass. Civ. Sez. VI, 27 novembre 2014, n. 25214, Cass. Civ. Sez. III, Ord. 25837/2017).
Il custode convenuto potrà invece liberarsi dalla responsabilità solamente nel caso in cui sia in grado di dimostrare il caso fortuito, restando in capo allo stesso ogni altra conseguenza dannosa derivante dalla cosa custodita.

L’esaustiva sentenza in commento fa il punto sull’onere della prova incombente sull’attore che agisce in giudizio ai sensi dell’art. 2051 c.c., per sentire dichiarare la responsabilità del custode.

In particolare, il Tribunale di Bologna, dopo aver precisato, richiamando l’orientamento espresso dalla Suprema Corte, che l’attrice è onerata dal provare il rapporto di custodia, il fatto storico generatore del danno ed il rapporto di causa tra il danno e la cosa oggetto di custodia, ha ritenuto che, nel caso di specie, dalla documentazione prodotta in causa e dalle dichiarazioni del testimone risultasse provata sia la pericolosità dei luoghi sia la dinamica della caduta dell’utente, riconducibile alla predetta pericolosità.

Il Giudice ha poi escluso che la condotta dell’attrice potesse configurare un’ipotesi di caso fortuito, idonea ad elidere la responsabilità del custode.
La sentenza in commento, infatti, attraverso un’approfondita ricostruzione giurisprudenziale e dottrinale, precisa quali siano i limiti per la sussistenza del caso fortuito, confermando che la condotta del danneggiato può assumere rilievo esimente solo quando sia “connotata dalla totale assenza delle cautele normalmente attese e prevedibili, in rapporto alle circostanze dei luoghi”, così da costituire un fatto dotato di esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.

Pur considerando la condotta della danneggiata esente da censure sotto il profilo della responsabilità del custode, il Tribunale di Bologna ha però riconosciuto in capo all’attrice una percentuale, seppur minima, di concorso di colpa, “dovuto ad un generale principio di attenzione e prudenza nel camminare”.
Ciò, sul presupposto che accanto al dovere di precauzione imposto al titolare della signoria sulla cosa sia configurabile un dovere di cautela in capo a chi con la cosa entra in contatto, in ossequio al principio di solidarietà ex art. 2 della Costituzione, “che comporta la necessità di adottare condotte idonee a limitare entro i limiti di ragionevolezza gli aggravi per i terzi, in nome della reciprocità degli obblighi derivanti dalla convivenza civile (Cass. civ., Sez. VI, ord. n° 18415/2019 che richiama Cass. civ., sez. III, ord. n° 2482/2018)”.

Come comportarsi in caso di incidente stradale?

In questo intervento approfondiamo il tema del risarcimento del danno in caso di incidente stradale.

Nel commento video cerchiamo in particolare di dare risposta ad alcune delle domande più frequenti che ci vengono poste sul tema, quali ad esempio chi sostiene le spese legali o a chi competono i costi della consulenza medico-legale.

Per ulteriori approfondimenti sui temi trattati è possibile consultare sul sito le pagine dedicate ad Infortunistica stradale e comportamento da tenere in caso di incidente stradale.

Il Comune e i danni derivanti dal cedimento della strada

Il Tribunale di Bologna, con la sentenza n. 20423/2020, pubblicata il 23/07/2020, ha dichiarato la responsabilità del Comune per i danni cagionati ad un operaio, intento a svolgere un’operazione di spurgo, rimasto schiacciato dal proprio mezzo pesante, inclinatosi a causa del cedimento del manto stradale.

L’esaustiva sentenza sopra allegata fa il punto sull’evoluzione giurisprudenziale relativa alla responsabilità extracontrattuale da cosa in custodia, prevista dall’art. 2051 c.c., ai sensi del quale “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”, invocata dalla parte attrice a sostegno della richiesta di condanna del Comune, convenuto in giudizio.

Il Tribunale di Bologna precisa dapprima, sulla base del dato letterale della norma, che la responsabilità del custode è presunta, quando: a) il danno lamentato è stato provocato dalla cosa in custodia; e b) sussiste un rapporto di custodia, ovvero una relazione tra la cosa e colui che ha un effettivo potere sulla stessa.
Al ricorrere di tali condizioni la responsabilità del custode prescinde dal comportamento effettivo di quest’ultimo, che diviene responsabile per effetto della mera relazione con la cosa che ha cagionato il danno.

Il Giudicante quindi, richiamata la sentenza della Cassazione, Sez. Un., n. 12019/91, individua la ratio della norma nell’esigenza di “predisporre uno strumento di allocazione del danno improntato ad una finalità di giustizia distributiva”, indirizzato a trasferire il danno dal soggetto che lo subisce, senza colpa, al soggetto che ha un potere di fatto sulla cosa che quel danno ha cagionato.

Sulla base dell’orientamento espresso dalla Suprema Corte è possibile pertanto affermare che la responsabilità individuata dall’art. 2051 c.c. ha natura oggettiva, con l’effetto che il custode è esonerato solo laddove riesca a provare il “caso fortuito”, inteso come elemento esterno, imprevedibile ed inevitabile, che si sia inserito, interrompendolo, nel rapporto causale tra la cosa ed il danno.

Il Tribunale di Bologna chiarisce, poi, che in materia di sinistri avvenuti su strada o suolo pubblico, la Pubblica Amministrazione può essere chiamata a rispondere quale custode, ai sensi dell’art. 2051 c.c..

In giurisprudenza si è invero consolidato l’orientamento che, in casi come quello in esame, riconduce la responsabilità dell’ente pubblico alla fattispecie di cui all’art. 2051 (ex multis Cass. 15042/2008, Cass. 4495/2011, Cass. 14856/13), con abbandono dell’orientamento precedente che ammetteva la responsabilità della Pubblica Amministrazione solo al ricorrere dell’“insidia” o del “trabocchetto”, entrambi riconducibili all’alveo dell’art. 2043 c.c..

In sintesi la Pubblica Amministrazione è responsabile per i danni cagionati da difetti intrinseci della strada o da cattiva manutenzione della stessa, andando esente solo nell’ipotesi di caso fortuito, individuabile nel comportamento dell’utente o in un’alterazione repentina e non prevedibile dello stato della cosa che, “nonostante l’attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possa essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere” (così Cass. 14856/2013).

Il Tribunale di Bologna, con la sentenza sopra allegata, precisa infine che la Pubblica Amministrazione risponde a prescindere dalla titolarità del bene, con l’effetto che l’ente pubblico può essere chiamato a risarcire anche il danno causato da una strada privata.
Infatti, ai fini dell’individuazione della responsabilità, rileva esclusivamente l’uso pubblico che del bene viene fatto.

In conclusione, la Pubblica Amministrazione risponde anche nei casi di strada privata, laddove quest’ultima sia gravata dal transito pubblico, in quanto, in tali casi, è l’amministrazione pubblica, anche se non proprietaria, ad essere gravata dall’onere di manutenere il bene.

Per ulteriori approfondimenti sui temi trattati è possibile consultare la pagina dedicata ad Infortunistica stradale.

Il monopattino elettrico

La legge 160/2019 ed il successivo D.L. 162/19, come convertito dalla Legge 8/2020, hanno dettato le regole per la circolazione del monopattino elettrico.

In particolare l’art. 75 della L. 160/2019 ha chiarito che il monopattino elettrico può circolare ed è equiparato al velocipede ai sensi del Codice della Strada, purché rispetti determinate caratteristiche tecniche stabilite dal Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 4/06/2019.

Infatti, posto che i monopattini elettrici, proprio come le biciclette, non sono soggetti ad alcuna immatricolazione e targatura, devono però:

  • avere un motore elettrico di potenza nominale continua non superiore a 0,50 kW;
  • essere dotati di un limitatore di velocità che non consenta di superare i 25 Km/h, quando viaggiano su strada, ed i 6 Km/h, quando circolano in area pedonale;
  • essere dotati di un campanello per le segnalazioni acustiche;
  • riportare la marcatura CE, prevista dalla direttiva 2006/42/CE;
  • non essere dotati di posto a sedere, perché devono essere destinati ad un utilizzo esclusivo in piedi;
  • da mezz’ora dopo il tramonto e per tutta la durata dell’oscurità, o comunque anche di giorno qualora le condizioni atmosferiche lo richiedono, devono essere equipaggiati con luci bianche o gialle anteriori e con luci rosse o catadiottri rossi posteriori per le segnalazioni visive. In mancanza non possono essere utilizzati ma solo condotti o trasportati a mano. Nelle medesime condizioni inoltre il conducente deve indossare il giubbotto o le bretelle retroriflettenti.

Chiunque circola con un monopattino a motore, avente caratteristiche tecniche diverse da quelle previste dalla norma, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 100,00 a 400,00 euro, nonché alla sanzione accessoria della confisca del mezzo.

Proprio come per la conduzione della bicicletta, non sono necessari titoli abilitativi, ma per poter utilizzare su strade pubbliche il monopattino elettrico occorre avere compiuto quattordici anni di età.

I minori di età devono inoltre indossare idoneo casco protettivo.
Circa l’idoneità del casco protettivo, la circolare del Ministero dell’Interno del 9/03/2020 ha chiarito che possono considerarsi idonei i “modelli di casco provvisti di omologazione di qualsiasi tipo (per l’uso su strada o per ambiti quali quelli sportivi per proteggere il capo da urti per caduta in velocità)”.

Non possono essere trasportate altre persone, animali od oggetti, ed è vietato condurre animali o farsi trainare da qualche veicolo.

I conducenti dei monopattini elettrici devono sempre reggere il manubrio con entrambe le mani, salvo per segnalare la manovra di svolta, e non possono procedere mai affiancati in un numero superiore a due; in ogni caso, devono viaggiare su un’unica fila quando lo richiedono le condizioni della circolazione.

Il monopattino elettrico può circolare su tutte le strade urbane in cui vi è limite di velocità inferiore o pari ai 50 Km/h, sono invece escluse le strade urbane con limite di velocità superiore o quelle dove è espressamente vietata la circolazione dei velocipedi. Sulle strade extra urbane è possibile circolare ma solo all’interno della pista ciclabile.

Il conducente del monopattino elettrico deve rispettare il limite di velocità di 25 Km/h quando circola su strada e di 6 Km/h quando circola su area pedonale, nelle aree in cui tale circolazione sia consentita.

Chiunque violi le disposizioni di comportamento e di guida sopra descritte è punibile con una sanzione amministrativa, che può variare da 50,00 a 400,00 euro, a seconda della disposizione violata.

Oltre alla disciplina specifica appena illustrata, il monopattino elettrico, in quanto veicolo equiparato al velocipede, è soggetto all’applicazione delle norme di comportamento di carattere generale previste dal Codice della Strada ed, in particolare, all’art. 182 CdS, che disciplina la circolazione dei velocipedi, oltre che, in caso di violazione, alle relative sanzioni.

A titolo esemplificativo, quindi, il conducente di monopattino elettrico ha l’obbligo di segnalare tempestivamente la svolta con il braccio, di circolare sul margine destro della carreggiata, può utilizzare il cellulare solo con l’auricolare e mantenendo libero l’uso delle mani.

Se si circola con monopattino elettrico in stato di ebbrezza o di alterazione da sostanza stupefacente o psicotropa, si risponde per violazione degli artt. 186 e 187 CdS e si è sottoposti alle medesime sanzioni previste per gli automobilisti.

Tutti gli altri dispositivi elettrici, quali segway, hoverboard e monowheel, non possono circolare su strade pubbliche, a meno che non si tratti delle apposite aree predisposte per la sperimentazione sui predetti mezzi.

Dopo aver fatto il punto sulla disciplina oggi vigente, è importante altresì segnalare che sono in rapidissimo aumento i sinistri stradali che vedono coinvolti conducenti di monopattini elettrici, molti dei quali giovanissimi.

Anche il monopattino elettrico, come la bicicletta, non è soggetto ad alcun obbligo assicurativo.
Tuttavia, in caso di sinistro causato da monopattino, il conducente (i genitori in caso di conducente minorenne) è comunque tenuto al risarcimento dei danni cagionati a terzi.

E’ quindi fondamentale il rispetto delle norme di comportamento, in quanto anche solo il concorso di colpa del conducente del monopattino potrebbe avere risvolti significativi in termini di risarcimento del danno conseguente al sinistro.

E’ altrettanto importante, in caso di sinistro, rivolgersi immediatamente ad un professionista, per poter avere, sin dall’inizio, l’assistenza tecnica di un legale, che assicuri al danneggiato la protezione dei suoi diritti ed il riconoscimento di tutti i danni sofferti.

Per ulteriori approfondimenti sui temi trattati è possibile consultare le pagine dedicate ad Infortunistica stradale e comportamento da tenere in caso di incidente.

Datore di lavoro e risarcimento del danno per incidente stradale del dipendente

In caso di sinistro stradale che abbia determinato un’invalidità temporanea totale al dipendente, il datore di lavoro ha diritto ad esercitare la rivalsa nei confronti del responsabile civile e della sua assicurazione, per i costi sostenuti durante tutto il periodo di assenza del dipendente (quali retribuzione, contributi, ferie, tredicesima, quattordicesima, T.f.r., ecc…).

La prima sentenza storica in materia si è avuta con il famoso “caso Meroni”.
Nel 1967 a seguito di un investimento stradale decedeva il famoso calciatore del Torino, Luigi Meroni. Il Torino, quindi, promuoveva una causa civile per vedere riconosciuto il proprio diritto al risarcimento del danno derivante dal mancato utilizzo del calciatore. Tale controversia si concludeva con la sentenza n. 174/1971, con cui la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha stabilito, per la prima volta, la risarcibilità del danno subito dal creditore per il fatto doloso o colposo altrui che abbia cagionato la morte del suo debitore.

Detto orientamento è stato poi ulteriormente confermato e perfezionato dalla Suprema Corte, con la sentenza a Sezioni Unite n. 6132 del 1988.
Con tale pronuncia la Corte di Cassazione ha infatti precisato che “il responsabile di lesioni personali in danno di un lavoratore dipendente, con conseguente invalidità temporanea assoluta, è tenuto a risarcire il datore di lavoro per la mancata utilizzazione delle prestazioni lavorative, la quale integra un ingiusto pregiudizio, a prescindere dalla sostituibilità o meno del dipendente, causalmente ricollegabile al comportamento doloso o colposo di detto responsabile. Tale pregiudizio, in difetto di prova diversa, è liquidabile sulla base dell’ammontare delle retribuzioni e dei contributi previdenziali, obbligatoriamente pagati durante il periodo di assenza dell’infortunato, atteso che il relativo esborso esprime il normale valore delle prestazioni perdute (salva restando la risarcibilità dell’ulteriore nocumento in caso di comprovata necessità di sostituzione del dipendente)” (cosi Cass. Civ. Sez. Un., sentenza n. 6132/1988).

Invero, in caso di sinistro stradale da cui siano conseguite lesioni a carico del lavoratore dipendente, gli enti previdenziali (Inail e Inps) garantiscono una quota della retribuzione, ma restano a carico del datore di lavoro una serie di costi che maturano per tutto il periodo in cui il dipendente è assente dal luogo di lavoro.

Tali costi, sulla base del sopra descritto orientamento della giurisprudenza, costituiscono un “danno ingiusto” a carico del datore di lavoro che dovrà essere risarcito dal responsabile civile.

Va infine evidenziato che, in caso di sinistro stradale, il datore di lavoro potrà esercitare tale rivalsa direttamente nei confronti della compagnia di assicurazione del responsabile civile.


La Corte di Cassazione ha infatti da tempo chiarito che, in materia di sinistro stradale, nella nozione di danneggiato, a cui compete l’azione diretta contro l’assicuratore, “vanno incluse non soltanto le persone direttamente e fisicamente coinvolte nell’incidente, ma tutte quelle che abbiano subito un danno in rapporto di derivazione causale con l’incidente medesimo” (così Cass. Civ., Sez. III, sentenza n. 15399/2002; Cass. Civ., Sez. III, sentenza n. 11099/1991).

Per ulteriori approfondimenti sui temi trattati è possibile consultare le pagine del sito dedicate ad Infortunistica stradale ed il video su come comportarsi in caso di incidente stradale.

responsabilita medica danni da parto

Responsabilità medica e danni da parto

Gravidanza e parto rappresentano due momenti molto importanti nella vita dei futuri genitori e necessitano, anche dal punto sanitario, di cura ed attenzione, al fine di evitare danni alla madre o al bambino.

Talvolta, infatti, gestazione e parto sono segnati da errori od omissioni mediche che determinano lesioni, di diversa gravità, alla madre o al nascituro, il quale può, ad esempio, essere esposto a lesioni extracraniche, lesioni dei nervi faciali o periferici, lesione del plesso brachiale, ecc….

Dette lesioni, se conseguenza di un’errata condotta dei medici, possono determinare in capo al bambino il diritto al risarcimento del danno a carico della struttura sanitaria.

Anche i familiari possono avere, di riflesso, diritto al risarcimento del danno per la sofferenza e lo sconvolgimento delle abitudini di vita conseguenti alla nascita di un bambino portatore di una lesione permanente.

La giurisprudenza, negli ultimi tempi, è stata infatti chiamata a valutare l’esistenza e l’ammontare del danno riportato dal minore a seguito di lesione del plesso brachiale, conseguenza di errate manovre mediche commesse in fase di parto.

In tali casi, sia i Tribunali di merito (così Tribunale di Roma, Sezione XII, sentenza del 14/01/2014), sia la Corte di Cassazione (così Cass. Civ., Sez. III, 16/02/12, n. 2228), oltre al risarcimento del danno alla persona riportato dal neonato, hanno riconosciuto ai genitori dello stesso una somma, equitativamente determinata, a ristoro delle sofferenze subite, di riflesso a quelle patite dalla vittima, anche “in considerazione della natura delle lesione e della loro oggettiva incidenza sullo svolgimento dei rapporti affettivi e di convivenza”.

La Suprema Corte ha invero chiarito che “al genitore di persona che abbia subito la paralisi ostetrica del braccio destro all’esito di errato intervento in sede di parto spetta il risarcimento del danno non patrimoniale sofferto in conseguenza di tale evento, dovendo ai fini della liquidazione del relativo ristoro tenersi in considerazione la sofferenza (o patema d’animo) anche sotto il profilo della sua degenerazione in obiettivi profili relazionali” (così Cass. Civ., Sez. III, 16/02/12, n. 2228).

Come riportato nella pubblicazione “La nascita indesiderata”, tratto dal volume “Il danno alla persona”, opera diretta da Paolo Cendon ed Augusto Baldassari, “il panorama dei danni risarcibili in caso di lesioni da parto prevede, ovviamente, il risarcimento di tutti i danni morali e biologici subiti dal neonato.
Anche i genitori hanno diritto ad un risarcimento per la grave compromissione della vita familiare subita a causa dell’imperizia medica e per l’enorme sofferenza patita
” (cfr. 2.4 (Segue): lesioni cagionate al nascituro in occasione del parto, in “La nascita indesiderata”, contributo di Francesca Palumbi, contenuto nel volume “Il danno alla persona”, a cura di Paolo Cendon ed Augusto Baldassari, pagine 970 e seguenti).

A ciò andrà, inoltre, aggiunto il danno patrimoniale, che consiste, non solo nelle spese sostenute per le cure mediche e le terapie, ma anche nei costi preventivabili per le future spese mediche e di assistenza.

Pertanto, in caso di responsabilità sanitaria nella causazione di traumi da parto, oltre all’accertamento del diritto al risarcimento del bambino, andrà valutata la sussistenza di circostanze idonee a richiedere altresì il ristoro della sofferenza patita dai genitori e/o dagli stretti congiunti.

Per ulteriori approfondimenti è possibile consultare la pagina del sito dedicata a Malasanità e durata delle cause di risarcimento del danno da malasanità.

Svolta a sinistra e incidente stradale

Svolta a sinistra e incidente stradale

In termini di responsabilità da sinistro stradale e conseguente risarcimento del danno, cosa accade nell’ipotesi, sempre più frequente, in cui il conducente di un veicolo, nell’intraprendere manovra di svolta a sinistra, urta un altro veicolo, in prevalenza motociclo o bicicletta, proveniente da tergo, nella sua stessa direzione di marcia, in manovra di sorpasso?

Di chi è la colpa? Del conducente del veicolo in svolta o del conducente del mezzo in sorpasso?

La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che il conducente di un veicolo che debba svoltare a sinistra, ha l’obbligo di dare la precedenza, prima, ai veicoli provenienti da destra (ossia quelli dal lato opposto della strada) ed ha altresì l’obbligo, che deriva dalla comune prudenza, di assicurarsi, prima di svoltare, che non sopraggiungano veicoli da dietro, ai quali spetta al pari la precedenza, anche se si trovano in una illegittima fase di sorpasso (così ex multis Cass. Civ., Sez. III, 27/07/2012, n. 13380; Cass. Civ., Sez III, 4/03/2004, n. 4402; Tribunale di Genova, sentenza n. 1903/2015).

L’art. 154 del Codice della Strada stabilisce, infatti, che i conducenti che intendono eseguire una manovra per immettersi nel flusso della circolazione, per cambiare direzione o corsia, per invertire il senso di marcia, per fare retromarcia, per voltare a destra o a sinistra, per impegnare un’altra strada, per immettersi in un luogo non soggetto a pubblico passaggio, oppure per fermarsi, devono:
a) assicurarsi di poter effettuare la manovra senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada, tenendo conto della posizione, della distanza e della direzione di essi;
b) segnalare con sufficiente anticipo la loro intenzione.

Tale orientamento è stato altresì recentemente confermato da Cass. Pen. 19/10/2017, sentenza n. 48266, in cui, decidendo sul caso di un sinistro avvenuto tra il conducente di un motociclo in fase di sorpasso irregolare a velocità sostenuta ed il conducente di un veicolo in fase di svolta a sinistra, è stato ribadito che la verifica del conducente di non recare pericolo o intralcio durante il cambio di direzione, in particolare nell’ipotesi di svolta a sinistra, deve perdurare dall’inizio alla fine della manovra.

Del resto, in tema di responsabilità derivante da circolazione stradale, nel caso di scontro tra veicoli, anche ove il Giudice abbia accertato la colpa di uno dei conducenti, non può, per ciò solo, ritenere superata la presunzione posta a carico anche dell’altro dall’art. 2054 c.c., ma è tenuto a verificare nel concreto se quest’ultimo abbia o meno tenuto una condotta di guida corretta (così ex multis Cass. Civ., Sez. III, 4/11/2014, n. 23431).

Il secondo comma dell’art. 2054 del codice civile prevede, infatti, che “nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli”.

E’, quindi, verosimile che in caso di sinistro avvenuto tra un veicolo in svolta a sinistra ed un mezzo in sorpasso, verrà riconosciuto un concorso di colpa a carico di entrambi i conducenti, la cui misura, in caso di lite, sarà accertata dal Giudice di merito all’esito della valutazione delle prove raccolte ed a seguito dell’eventuale espletamento di una Consulenza Tecnica cinematica.

Per ulteriori approfondimenti sui temi trattati è possibile consultare sul sito la pagina dedicata ad Infortunistica stradale nonchè il video su come comportarsi in caso di incidente stradale.

Incidente stradale e il risarcimento del trasportato

Incidente stradale: il risarcimento del trasportato

L’art. 141 codice delle assicurazioni dispone che il terzo danneggiato a seguito di un sinistro, nel quale egli risulti trasportato, ha diritto al risarcimento del danno in via diretta da parte dell’assicurazione del conducente, a prescindere dall’accertamento della responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti, salva l’ipotesi del caso fortuito.

La norma in esame, di derivazione comunitaria, fa emergere lo spirito solidaristico di tutela sociale che sta alla base delle maggiori garanzie che si intende accordare al terzo trasportato, esonerando lo stesso dalla prova dell’effettiva responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti. Il rischio di causa viene, quindi, traslato dal soggetto trasportato alla compagnia assicuratrice, conferendo principale tutela all’interesse del primo, che prevale su qualsivoglia questione inerente all’accertamento della responsabilità civile, con esclusione del solo caso fortuito.

Al terzo danneggiato viene, così, accordato uno strumento di tutela aggiuntivo, al fine di conseguire il risarcimento del danno nei confronti dell’impresa assicuratrice, a prescindere dall’effettiva distribuzione della responsabilità. In tale ottica, il terzo dovrà provare esclusivamente il danno riportato e la sussistenza del nesso causale tra lo stesso e il sinistro, risultando esonerato dalla prova dell’effettiva dinamica dell’incidente e conseguente ripartizione di responsabilità tra i conducenti dei veicoli coinvolti (ex multis, Cass. sent. n. 16181/2015).

Resta salva l’ipotesi del caso fortuito, individuato dalla norma quale unica ipotesi di esclusione del diritto a risarcimento in capo al terzo. Nella nozione di caso fortuito, per orientamento maggioritario, la giurisprudenza di legittimità include, accanto agli eventi di origine naturale che sfuggono al controllo umano, anche il comportamento del danneggiato o di un terzo, la cui autonomia e imprevedibilità può elidere il nesso causale con gli avvenimenti precedenti (ex multis Cass. Sez. III, ord. 2477/2018, Cass. sent. n. 25837/2017). Deve, tuttavia, trattarsi di un comportamento imprevedibile ed eccezionale, che non rientri nel normale sviluppo causale, così da divenire autonoma causa del sinistro.

La ratio garantista sottesa all’art. 141 c.d.a. si evince anche dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea in tema di direttive sull’assicurazione della responsabilità civile derivante da circolazione dei veicoli, in cui la Corte afferma che la disciplina di diritto interno deve essere interpretata dando prevalenza alla qualità di vittima avente diritto al risarcimento su quella dell’assicurato-responsabile, cosicché il terzo trasportato abbia un incondizionato diritto al risarcimento del danno alla persona causato dalla circolazione.

L’interpretazione garantista nei confronti del terzo trasportato risulta maggioritaria anche nell’ambito della giurisprudenza di legittimità e di recente avvalorata nella sentenza della Terza Sezione della Corte di Cassazione n. 1279/2019. In tale pronuncia, la Suprema Corte dichiara non rilevanti, ai fini del soddisfacimento del diritto risarcitorio del terzo, gli “aspetti puramente interni alla convenzione assicurativa, che riguarda l’assicurazione del trasportato o del responsabile civile, trasferendo sull’assicurazione del trasportante il rischio inerente a irregolarità o invalidità dell’assicurazione”. La Corte prosegue, poi, affermando che l’orientamento interpretativo accolto dalla giurisprudenza di legittimità e della Corte di Giustizia ha un’indubbia matrice costituzionale, volta a conferire al terzo un’adeguata e paritaria tutela in ogni situazione, evitando l’effetto discriminatorio che altrimenti si produrrebbe in capo al terzo trasportato a seconda della situazione in cui di volta in volta versi l’assicurazione del responsabile civile. La stessa non è neppure equiparabile al caso fortuito, “il quale prevede per il terzo il solo accollo del rischio non assicurabile perché imputabile al cd. “act of God””.

A conferma dell’indifferenza dell’accertamento della responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro rispetto al diritto al risarcimento del terzo, la Corte, nella medesima pronuncia, afferma che la capacità di testimoniare nel giudizio inerente il risarcimento del terzo danneggiato delle parti coinvolte nel sinistro va valutato caso per caso, sotto il profilo della sussistenza di un interesse attuale e concreto, e non ipotetico e astratto. L’interesse del terzo deve essere comparato con l’interesse delle parti a contrastare o favorire l’azione del primo e non con il loro personale interesse, del tutto secondario, ad accertare la dinamica dell’incidente e ad individuarne il responsabile, “essendo questi ultimi fatti del tutto indifferenti per il terzo danneggiato, titolare di un diritto ad essere risarcito del danno subito a prescindere dalla eventuale responsabilità dell’uno o dell’altro conducente”.

Un orientamento differente è stato, tuttavia, accolto dalla Corte di Cassazione, a distanza di appena un mese dalla pronuncia sopra analizzata, nella sentenza della Terza Sezione n. 4147/19. La Suprema Corte, invero, elabora un ragionamento differente nell’analizzare i presupposti e i limiti della tutela del terzo trasportato, incentrando, in particolare, il giudizio sulla nozione di caso fortuito richiamata nell’incipit dell’art. 141 c.d.a. Quest’ultimo, a parere della Corte, fungerebbe da criterio dirimente nel bilanciamento degli interessi coinvolti e, solo una volta accertata la sua esclusione, si dovrebbe procedere al risarcimento del danno a prescindere dall’accertamento della responsabilità dei conducenti coinvolti.

La nozione di caso fortuito viene, quindi, interpretata nel senso di causazione del sinistro del tutto esterna al vettore, includendovi anche l’esclusiva responsabilità dell’altro conducente. Così interpretato, il criterio in esame determinerebbe due effetti: l’uno, sostanziale, per cui la responsabilità dell’assicuratore del vettore non sussiste se causa del sinistro non è la condotta dell’assicurato, cioè del vettore; l’altro, processuale, di addossare all’assicuratore l’onere probatorio di ricostruzione della vicenda sotto il profilo causale, dimostrando l’eventuale responsabilità esclusiva dell’altro conducente. Secondo la Corte, il successivo inciso della norma che prevede il diritto al risarcimento a prescindere dall’accertamento della responsabilità dei conducenti coinvolti dovrebbe coordinarsi con la prima parte della norma stessa e, dunque, letto nel senso che “se l’assicuratore del vettore non adempie all’onere impostogli dalla regola del caso fortuito di provare la totale derivazione dell’evento dannoso da questo, il processo non deve ulteriormente essere speso sul profilo della responsabilità”. In conseguenza, nell’accezione di caso fortuito adottata dalla Corte, l’art. 141 c.d.a. richiede che il vettore sia almeno corresponsabile del sinistro quale presupposto della condanna risarcitoria del suo assicuratore.

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Rendita Inail e danno differenziale

La compensatio lucri cum damno: rendita Inail e danno differenziale

La legge di bilancio 2019 è intervenuta in riforma delle vigenti disposizioni in tema di diritto di rivalsa da parte dell’INAIL e di cd. “danno differenziale” (art. 1 co. 1126 l. 145/2018). Con particolare riguardo a questo secondo aspetto, attinente ai rapporti tra responsabile del sinistro e il danneggiato, la riformata disposizione legislativa — art. 10 co. 6 D.P.R. 1124/1965 — recita ora nei seguenti termini: “Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo, complessivamente calcolato per i pregiudizi oggetto di indennizzo, non ascende a somma maggiore dell’indennità che, a qualsiasi titolo e indistintamente, per effetto del presente decreto, è liquidata all’infortunato o ai suoi aventi diritto”.

L’intervento del legislatore giunge a completamento di un articolato percorso interpretativo intrapreso dalla giurisprudenza, che per anni si è occupata dei rapporti tra indennizzo INAIL — o, più in generale, di qualsiasi vantaggio ottenuto dal danneggiato in conseguenza dell’illecito — e risarcimento del danno a cui è obbligato il responsabile civile o il suo assicuratore.

In particolare, si è trattato di stabilire le regole di funzionamento e l’ambito di operatività dell’istituto della compensatio lucri cum damno quale regola operativa per la stima e la liquidazione del danno. L’esistenza di un tale istituto, pur negata da una parte della dottrina, è da sempre pacifica in giurisprudenza, che ne ravvisa il fondamento nella funzione riparatoria e ripristinatoria del risarcimento, quale strumento volto a ricondurre il patrimonio del danneggiato nelle condizioni in cui si sarebbe trovato se non vi fosse stato l’illecito. Sicché il danno risarcibile è calcolato tenendo in considerazione tutte le conseguenze prodotte dall’illecito, comprendendovi anche le eventuali conseguenze positive o vantaggiose, in ossequio al cd. principio dell’indifferenza, secondo cui il risarcimento deve coprire tutto il danno cagionato, ma non può oltrepassarlo, pena un indebito arricchimento del danneggiato, inammissibile per l’ordinamento.

Ciò posto, escludendo i casi in cui sia un medesimo soggetto a dover corrispondere sia il risarcimento che l’indennità — in quanto, in tali ipotesi, l’istituto è stato da sempre ritenuto operante sia dalla giurisprudenza di legittimità sia da quella amministrativa (cfr. Ad. Plen. Sent. n. 1/2018) — il dibattito che ha dato luogo ad orientamenti contrastanti concerneva l’ipotesi in cui vi fosse duplicità di soggetti obbligati, sulla scorta di titoli differenti.

L’orientamento a lungo prevalente propendeva per la non operatività della compensatio in tali casi, argomentando nel senso che solo quando il danno e il beneficio derivano dallo stesso fatto del secondo può tenersi conto ai fini del calcolo del quantum del risarcimento, profilandosi, al contrario, in caso di titolo diverso, un rapporto di mera occasionalità.

L’orientamento opposto, sostenuto altresì nell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, propendeva invece per un’operatività più ampia dell’istituto della compensatio, affermando la detraibilità del vantaggio ogniqualvolta questo si presenti quale conseguenza immediata e diretta dell’illecito, prescindendo dalla fonte.

Le Sezioni Unite, chiamate a risolvere la questione “se dal computo del pregiudizio sofferto dal lavoratore a seguito di infortunio sulle vie del lavoro causato dal fatto illecito di un terzo, vada defalcata la rendita per l’inabilità permanente costituita dall’INAIL” hanno adottato una soluzione parzialmente differente rispetto ad entrambi gli orientamenti illustrati.

In particolare, secondo le Sezioni Unite risulta centrale la doverosa indagine circa la ragione giustificatrice dell’attribuzione patrimoniale entrata a far parte del patrimonio del danneggiato, al fine di verificare in concreto l’operatività della compensatio lucri cum damno. La prospettiva non è quindi quella della coincidenza formale dei titoli, né della mera applicazione del criterio di accertamento della causalità, applicato sia per il danno che per il vantaggio, ma occorre indagare la precipua funzione svolta dell’attribuzione patrimoniale in favore del danneggiato, verificando l’eventuale collegamento funzionale tra quest’ultima e l’obbligazione risarcitoria. A tal fine, rilievo centrale svolge la previsione da parte dell’ordinamento di meccanismi di surroga o rivalsa, capaci, da un lato, di valorizzare l’indifferenza del risarcimento, dall’altro di neutralizzare ingiusti vantaggi per l’autore dell’illecito.

Di talché, nell’ipotesi specifica della rendita INAIL, le Sezioni Unite hanno valorizzato la natura di tale attribuzione, individuata in una prestazione economica a carattere indennitario finalizzata alla copertura del pregiudizio occorso al lavoratore, condividendo così la medesima funzione svolta dall’obbligo risarcitorio in capo al terzo. In secondo luogo, la Suprema Corte sottolinea la previsione di cui all’art. 1916 c.c. che prevede il diritto di surroga in capo all’INAIL nei diritti dell’assicurato rispetto al danneggiante, garantendo così il riequilibrio delle rispettive prestazioni.
Conclusivamente, le Sezioni Unite giungevano ad affermare il seguente principio di diritto “l’importo della rendita per l’inabilità permanente corrisposta dall’INAIL […] occorso al lavoratore va detratto dall’ammontare del risarcimento dovuto, allo stesso titolo, dal terzo responsabile del fatto illecito” (Cass. Sez. Un. Sent. n. 12566/2018).

Ora, a fronte del recente intervento da parte del legislatore con la legge di bilancio 2019, occorrerà attendere le prossime pronunce da parte della giurisprudenza, al fine di comprendere quale sarà l’orientamento prescelto, ovvero se esso si ponga il linea di continuità con le Sezioni Unite, e, in particolare, quale sarà l’interpretazione fornita alle espressioni introdotte del risarcimento “complessivamente calcolato per i pregiudizi oggetto di indennizzo” e dell’indennità “a qualsiasi titolo e indistintamente” erogata.